Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 2023, ISBN 979-12-80182-23-4, DOI: 10.60975/VAMS_2
Con il termine farinata si intende qui una pietanza ottenuta dalla bollitura in un liquido, e attraverso il continuo rimestamento, di cereali e/o di legumi precedentemente sottoposti a molitura.
In Sicilia, i cereali utilizzati per la preparazione di tali pietanze sono il grano e, più raramente, il mais e l’orzo. Tra i legumi, sono adoperati, per la preparazione di questo tipo pietanza, i ceci, le cicerchie, le fave e, più raramente, i piselli. La farina, talvolta ottenuta anche semplicemente dalla grossolana molitura dei semi attraverso un’apposita macina azionata a mano, viene cotta in acqua salata o nel brodo di alcune verdure, particolarmente quello di finocchi selvatici, di borragine, di cavoli e di altre varietà di brassicacee.
Si tratta di vivande molto antiche, consumate ancor prima del pane, rientranti in quelle che i Romani chiamavano PULTES, già allora considerate da Varrone «cibo dei poveri».
Nelle esperienze alimentari dei nostri anziani intervistati questa pietanza è stata spesso associata ai momenti di maggiore difficoltà economica, particolarmente acuite nel periodo bellico. Benché, dunque, non siano diffuse e frequentemente consumate come lo furono un tempo, le farinate ancora oggi “sopravvivono” nelle tavole di molti siciliani, alcuni dei quali le hanno riscoperte insieme ad altri piatti della tradizione popolare.
Per approfondimenti su questo argomento cfr. M. Castiglione, V. Matranga, R. Sottile, Le farinate, in G. Ruffino, M. Burgio, M. Castiglione, V. Matranga, G. Rizzo, R. Sottile, Vocabolario-atlante della cultura dialettale. Articoli di saggio, Centro di studi filologici e linguistici siciliani-Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche, 2009, Palermo 2009, pp. 25-96. (►)